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Un caffè rosa amaro – WOMEN COFFEE

Ho scelto con piacere di acquistare dei caffè che abbiano un impatto sociale sulla questione di genere: qui vi parlo sul Caffè Feminino di Slow Food Coffee Coalition, iniziativa che aiuta le donne lavoratrici in diverse piantagioni in giro per il mondo.

Questo progetto ha l’obiettivo di porre fine alla povertà che colpisce le donne nella comunità dei lavoratori di caffè, fornendo istruzione, sviluppo economico e sociale. La produzione del caffè è seguita dalle donne coltivatrici, dalla semina al commercio, consentendo loro un equo compenso economico.

Luogo geografico: Guatemala
Periodo: 1978 – 1983

Dopo la conquista dell’indipendenza dalla Spagna nel 1821, il Guatemala era guidato dalla minoranza bianca che deteneva la maggioranza della ricchezza a discapito della popolazione autoctona, povera e priva di diritti. Da questa condizione di disequilibrio economico e sociale scaturirono anni di proteste popolari e ribellioni. Tra il 1960 e il 1996 imperversò una guerra civile in cui si scontrarono gli interessi delle classi agiate urbane, discendenti dai colonizzatori, e quelli dei campesiños di etnia maya, sparsi nei villaggi delle zone rurali. Nel 1982, quando l’ex generale Efrain Rios Montt divenne dittatore, decise che le comunità indigene sospettate di appoggiare la guerriglia avrebbero dovuto essere, semplicemente, cancellate dalla mappa geografica.
L’apice della violenza fu raggiunto fra il 1978 e il 1983. In quell’arco di tempo l’esercito sterminò intere comunità maya nei villaggi più remoti e più poveri della regione centro-occidentale. La stragrande maggioranza delle vittime apparteneva al popolo Maya e abitava nella regione Ixil/Ixcàn, nel dipartimento del Quiché, dove fu eseguito il 90% delle stragi. I luoghi che, fra gli altri, rimangono tristemente famosi sono: Barillas e Nentón (nel dipartimento di Huehuetenango), Plan de Sánchez (Baja Verapaz), San Francisco Javier, Vibitz e Chicamán (dipartimento del Quiché).
Il numero complessivo delle vittime è di circa 200.000, di cui 132.000 solo nel corso dell’operazione “terra bruciata” sotto i governi di Lucas Garcia e di Efrain Rios Montt, fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta.

Il MASSACRO DI PUENTE ALTO 

L’esercito di Santa Cruz Barillas arrivò nella frazione di Puente Alto, villaggio di El Quetzal, Barillas Huehuetenango, dove i  militari radunarono la comunità, rinchiusero le donne e i bambini nella chiesa, separarono gli uomini, violentarono molte donne e uccisero 360 persone. Secondo i racconti dei familiari sopravvissuti, l’esercito arrivò il  giorno prima,  per annunciare l’incontro, promettendo regali ai bambini e minacciando che chiunque non avesse partecipato sarebbe stato accusato di essere un guerrigliero.  La comunità non voleva dimostrare di essere sovversiva cosi parteciparono in massa. I soldati rinchiusero le persone nel tempio e gli diedero fuoco, chi cercò di fuggire fu giustiziato. L’intento di annientare la comunità, “sradicandola fino alla radice”, fu riuscito. 

Ci sono voluti oltre 30 anni per far raccontare queste vicende e le donne che sono riuscite a fuggire.
Nonostante i ricordi hanno continuato a coltivare caffè.

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